12 dicembre 2020

Osservazioni: Forum Nazionale Salviamo il Paesaggio - Comitato per il Torinese

BERTOLLA SUD

L’area Sud del quartiere Bertolla, inserita nel PTO e parzialmente nel Piano d’Area del Parco del Po Torinese, attraverso la Variante al PRG n 228 del 2012, è stata oggetto di una trasformazione urbanistica che ha compromesso gravemente i caratteri identitari dell’ultimo borgo rurale di Torino. Andando ad aggravare la situazione di quella zona della città, interessata da un forte sviluppo edilizio anche negli ambiti 6.h S. Mauro e 6.l Bertolla Nord.

Il passaggio da ATS a ZUT (Ambito 6.6 Bertolla Sud), previsto dalla Variante 228, ha reso possibile lo stravolgimento dell’area, nonostante questa necessitasse di essere preservata e valorizzata per le caratteristiche di tipo storico, architettonico e ambientale di elevato valore. La zona di Bertolla,

risalente all’800, aveva conservato fino ad allora il suo aspetto di borgo, con edifici per lo più ad un piano fuori terra, corti spesso ancora dotate delle strutture tipiche dell’attività agricola, una zona prativa molto ampia, orti gestiti dagli abitanti, bealere e testimonianze del “Borgo del Lavandai”, aree coltivabili. Di notevole rilevanza anche ambientale e paesaggistica, per l’affaccio sul Po e la collina e la vicinanza alla confluenza con lo Stura, l’Isolone Bertolla (Riserva Naturale Speciale) e il Parco del Meisino.

Nella procedura che ha portato alla Variante del 2012 è stata esclusa l’assoggettabilità alla Valutazione Ambientale strategica e di Valutazione di Incidenza ed è stato gravemente sottovalutato il rischio idrogeologico (l’area in oggetto in passato è stata più volte interessata da eventi alluvionali e rientra nella Classe III B2: elevata pericolosità per possibili inondazioni; la normativa prevede infatti l’impossibilità di abitare nei piano terra, che possono essere adibiti solo ad autorimesse). Peraltro senza effettuare una valutazione cumulativa (del rischio idrogeologico, dell’aumento del carico antropico, dell’impatto ambientale) rispetto alle operazioni di nuova urbanizzazione sulle aree adiacenti (6h, 6i, 6l, 6m).

Con la Delibera di Giunta Comunale 02654 del 2018 sono stati approvati lo Studio Unitario d’Ambito del Sub Ambito 1 ed il Piano Esecutivo Convenzionato del Sub Ambito 1A, che prevedono la cancellazione di vaste aree libere e la realizzazione di ben 25 edifici a quattro piani fuori terra più semipiano di sottotetto (Azzonamento Tavola 1 Foglio 6). Con una superficie territoriale interessata pari a 138.813 mq, di cui 103.186 mq di proprietà privata e 35.627 di proprietà della Città e S.L.P. generata pari a 26.819 mq, di cui 16.319 mq a destinazione residenziale, 1.200 mq a destinazione A.S.P.I. e 9.300 destinata alla realizzazione di una R.S.A. (Sub Ambito 1A) (le R.S.A. sono ben 3).

Una vera e propria speculazione edilizia, per soddisfare gli interessi economici di pochi soggetti privati e garantire al Comune un’entrata di quasi 3 milioni di euro di oneri di urbanizzazione, a danno dell’interesse della collettività, che ha stravolto il territorio e lo ha impoverito in termini di risorse naturali, fondamentali per la vita di tutti e tratti caratterizzanti del luogo. 

Al fine di salvare tutto il suolo ancora non impermeabilizzato dell’area, anche considerando che nella Delibera d’indirizzo del Consiglio Comunale  01354-2017 e nella Relazione Illustrativa della PTPP si prevede, tra gli obiettivi della revisione del Prg, la necessità di privilegiare l’identità dei quartieri e la qualità ambientale degli spazi urbani, chiediamo quindi all’amministrazione comunale di rimediare ai gravi danni già cagionati a quest’area dall’urbanizzazione invasiva e sproporzionata consentita fino ad oggi.


Pertanto proponiamo di

  • rendere inedificabili tutti i terreni ancora liberi dell’area corrispondente all’ambito 6.6 Bertolla Sud (sia privati che pubblici), “prenotati” nel vigente Prg, eliminando la Zona di Trasformazione e trasferendo l’edificabilità prevista in altri ambiti urbani già densi (su terreni già impermeabilizzati), classificando i terreni liberi dell’ambito come aree a Se lettera “v” (per quelle pubbliche) e come "zone a verde privato con preesistenze edilizie" (per quelle private), purchè per entrambi queste tipologie di aree sia in generale modificato il regime previsto (cioè siano considerate “a consumo di suolo zero”, escludendo quindi la possibilità di costruire attrezzature permanenti con interventi che comportino nuovi volumi edificati, nel primo caso, ed escludendo la classificazione di “area con compensazione obbligatoria”, nel secondo caso

  • evitare la realizzazione degli edifici già previsti dal Piano Esecutivo Convenzionato DGC 02654-2018 (Sub Ambito 1A), attraverso una negoziazione con i soggetti privati coinvolti.





CONSUMO DI SUOLO

CONSIDERAZIONI PRELIMINARI
Torino si colloca nei primissimi posti della classifica dei comuni italiani per superficie artificiale, che è pari al 65% rispetto ai confini amministrativi (8.453 ha), piazzandosi addirittura al primo posto tra i capoluoghi di provincia.

La crescita urbana negli ultimi decenni, completamente slegata dai flussi demografici e dagli effettivi bisogni della collettività, con una produzione edilizia che ha costantemente divorato, in modo violento e sconsiderato, il suolo e le risorse naturali, lontana dall’essere l’occasione di sviluppo economico promesso, ha determinato costi sociali per la collettività e contribuisce, in maniera pesante, alla crisi ambientale della nostra città.

La revisione del PRG in corso si muove in questo contesto e non può ignorare la assoluta necessità di conservare i pochi terreni liberi rimasti, perseguendo l’azzeramento del consumo di suolo, e quella di portare avanti una importante opera di rinaturalizzazione di vaste aree della città.

La classificazione delle aree della città in “Aree a consumo di suolo zero”, “Aree con compensazione obbligatoria” e “Aree a saldo positivo”, contenuta nell’art. 2.3 NTA della Proposta Tecnica di Progetto Preliminare del PRG, non sembra andare in questa direzione. La strategia proposta non garantisce il “consumo di suolo zero”, ma propone il calcolo del “saldo” zero di consumo di suolo. Questa soluzione riguarda semplicemente il bilancio del suolo consumato e non tutela il suolo come risorsa viva, finita e non rinnovabile, la cui perdita non può essere compensata in alcun modo. Infatti il tempo minimo necessario alla formazione di uno spessore di 3 mm di suolo è 1 secolo (Report of the Mission Board for Soil health and food, Commissione Europea, 2020).

La desigillazione di un’area impermeabilizzata non è, quindi, l’azione contraria al consumo di suolo, è solo l’inizio, se pur necessario, di un percorso lunghissimo di rinaturalizzazione. Il terreno “liberato” non presenta affatto, in termini di funzioni ecologiche (porosità, invarianza idraulica, biodiversità e gli altri servizi ecosistemici), le stesse caratteristiche del suolo consumato che si vuole compensare.

L’effetto di disincentivo per chi vuole costruire su terreni edificati (dovuto all’aggravio dei costi) potrebbe benissimo in molti casi non concretizzarsi, con conseguente scomparsa di tali terreni. La compensazione quindi, a nostro parere, non può essere considerata una soluzione accettabile. 

Perdere suolo, anche di piccole porzioni, vuol dire privare tutti dei servizi ecosistemici fondamentali forniti da esso (e dal verde sovrastante), sia a livello locale (regolazione della temperatura, habitat per varie specie di animali, luogo in cui avviene l’impollinazione e centro della biodiversità, rimozione di particolato e ozono, assorbimento dell’acqua - un ettaro trattiene 3,8 milioni di litri d’acqua -) sia per contrastare il cambiamento climatico (in 30 cm il suolo riesce a stoccare 60 tonnellate di carbonio per ettaro) (DAStU Politecnico di Milano). Peraltro, con la rimozione dello strato superficiale del terreno nel corso di attività edilizie, parte dello stock di carbonio organico viene rilasciata come gas serra a causa della mineralizzazione, vanificando i secoli di lavoro necessari alla produzione, tramite processi naturali, del suolo superficiale.

La logica della compensazione non tiene conto poi dell’impatto della perdita di un terreno libero e naturale sulla comunità che vive in quell’area, che viene privata, oltre che di un indispensabile regolatore dei fenomeni meteorologici, anche di uno spazio di socializzazione e di benessere. Conseguenze che non possono essere certo compensate dalla rinaturalizzazione di un’altra area della città.

Eppure tutti questi costi non vengono presi in considerazione.

La compensazione ecologica proposta nella PTPP (peraltro neanche definita con chiarezza, visto che sono molto ampi i margini di discrezionalità lasciati, non specificando: in cosa consiste, quali sono i criteri che definiscono l’equivalenza, dove deve essere realizzata, con quali tempi, se può essere monetizzata), incrementata o meno, viene posta come strumento di sostenibilità, ma anziché risparmiare suolo ne favorisce il suo consumo, continuando quindi a concepire il suolo come merce, da sacrificare, per la soddisfazione di interessi economici (dei privati e dell’amministrazione) e a preferire la visione di breve termine, del dominio dell’oggi, che lascia alle generazioni future territori impoveriti.

Ricordiamo che la normativa sovraordinata, oltre a porre l’obiettivo del consumo di suolo Zero (Legge Urbanistica Regionale 56/1977, art 1 co 1° ha tra le finalità “la piena e razionale gestione delle risorse volta al mantenimento qualitativo e quantitativo del loro livello complessivo, con particolare riferimento alle aree agricole ed al patrimonio insediativo ed infrastrutturale esistente, evitando ogni ulteriore consumo del suolo”; Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale PTC2, art 15 NdA: “Gli strumenti urbanistici generali perseguono l’obiettivo di … impedire l’uso del suolo libero”), limita i nuovi impegni di suolo ai casi in cui non vi siano soluzioni alternative (Piano Territoriale Regionale, art 31 NdA co 9°: “i nuovi impegni di suolo a fini insediativi e infrastrutturali possono prevedersi solo quando sia dimostrata l’inesistenza di alternative di riuso e di riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture esistenti. In particolare è da dimostrarsi l’effettiva domanda previa valutazione del patrimonio edilizio esistente e non utilizzato, di quello sotto-utilizzato e di quello da recuperare”).

Riteniamo apprezzabile, per tutelare le poche aree agricole rimaste, l’introduzione, prevista dalla PTPP, della nuova destinazione con cui si riconoscono le Zone Agricole Ecologiche (Z.A.E.), e la trasformazione delle ZT di Strada del Francese e Strada di Settimo in Z.A.E. Pensiamo però che, oltre alla parte collinare (art 6.2 NTA), anche le Zone Agricole Ecologiche della parte piana (art 6.1 NTA) dovrebbero essere considerate aree a consumo di suolo zero.

Ma riteniamo che, oltre ai suoli coltivabili e ai Parchi Urbani, debbano essere preservati anche tutti i terreni liberi, quindi anche le aree verdi (destinazione a servizio lettera “v”) e i semplici terreni interclusi non edificati in qualunque area del tessuto consolidato, eliminando quindi il residuo di piano relativo a terreni liberi.

La revisione del piano dovrebbe essere orientata esclusivamente a predisporre strategie per lo sviluppo edificatorio nelle aree dismesse e per il recupero dell’enorme patrimonio immobiliare esistente, produttivo e residenziale, a cominciare dalla realizzazione di un censimento che individui edifici e unità immobiliari, pubbliche e private, inutilizzate o dismesse, prevedendo la possibilità di costruire solo su terreni già edificati. Allo stesso tempo, ciò ovviamente dovrebbe avvenire senza violare i siti che hanno rilievo in termini storici, architettonici o di memoria dei lavoratori e prevedendo come unico driver di ogni operazione le reali necessità degli abitanti e l’interesse pubblico (si continuano invece a collocare supermercati in aree già sature, a danno di piccoli negozi e mercati; si consente ulteriore residenziale, pur non essendoci domanda, viste le 60 mila case vuote - Osservatorio della Condizione abitativa della Città di Torino – e senza affrontare seriamente l’emergenza abitativa che coinvolge fasce di popolazione sempre più ampie, che richiederebbe urgenti politiche proprio attraverso l’utilizzo di una parte di questo patrimonio edilizio esistente) e considerando anche l’opportunità di non riempire a tutti i costi le aree dismesse con nuovi edifici e nuove funzioni secondo le preferenze del mercato, ma di rinaturalizzarle il più possibile, anche come risarcimento ambientale per le aree con un passato industriale, andando a ridurre le previsioni insediative che continuano ad essere sovradimensionate, considerando la diminuzione del numero di abitanti. 

In conclusione, per le motivazioni fin qui espresse, chiediamo all’amministrazione comunale di basare la pianificazione urbanistica della città sull’azzeramento del consumo di suolo e non sul “saldo zero di consumo di suolo”, come prevede la PTPP.

Pertanto proponiamo
  • di prevedere come inedificabili (cioe' non sottoponibili a consumo di suolo irreversibile) tutti i terreni liberi (cioe' mai impermeabilizzati), privati e pubblici, che non sono oggetto di strumenti esecutivi approvati (art. 2.3 NTA)  quindi anche le aree verdi (destinazione a servizio lettera “;”), le  Zone Agricole Ecologiche della parte piana e ogni terreno intercluso non edificato in qualunque area del tessuto consolidato si trovi

  • di cercare, attraverso la negoziazione con i soggetti privati, di preservare i terreni liberi già interessati da strumenti esecutivi approvati.





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